Con l’invenzione del concetto di plusmaterno Laura Pigozzi ha aumentato la mia sensibilità a certe situazioni familiari morbose. E la ringrazio, i suoi libri, “Mio figlio mi adora” (Nottetempo), “Il plusmaterno” (Poiesis) e “Troppa famiglia fa male” (Rizzoli), di cui voglio fare presto una recensione, hanno fatto centro nella mia percezione. Così, al di là delle situazioni cliniche in cui ci sono mostruosi inglobamenti genitori-figli o opere artistiche in cui l’abnormità relazionale è messa chiaramente in evidenza e sollecita il giudizio critico dello spettatore, faccio attenzione anche a certe piccole scene che possono passare inavvertite. Scene che sono le peggiori, perché alla fine ti entrano sottopelle e ti fanno sembrare normale e giusto quello che non lo è. Qui ci starebbe un gioco di parole triviale con “sottopelle”, ma lascio perdere. Però, segnalo ugualmente l’effetto castrante che fanno queste scene. E non sto dicendo della “buona” castrazione, quella simbolica, di cui parliamo in psicoanalisi. È una pessima castrazione, quella della chance separativa di un figlio.
L’altra sera guardando un filmetto, “Per il tuo bene”, me ne sono trovato davanti una. Era con Isabella Ferrari, madre stesa sul corpo della figlia, un’adulta, a sua volta sdraiata sul divano. Perché era lì adagiata, corpo su corpo, totalmente avvolgente, una mano sul sedere, l’altra sulla schiena, quasi in una presa rugbistica per non farla scappare? Per consolarla della fine di una storia d’amore. Perché certi amori finiscono, ma non quello di una madre. Quello ti segue fino alle lacrime. E per quelle lacrime, se non si può cambiare la madre, bisogna almeno cambiare divano…