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"Quando il viandante canta nell'oscurità, rinnega la propria apprensione,

ma non per questo vede più chiaro"

(S. Freud)

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  • Fabio Livio Galimberti

Lavata di capo



Che cosa facciamo quando parliamo? Lacan rispondeva che desideriamo essere riconosciuti. Che vuol dire? Provo a dirlo con qualcosa che mi è capitato. Anni fa, non pochissimi ormai, facevo l’obiettore di coscienza in una comunità per minori, che era amministrata da una persona che amava il potere e amava anche incutere timore. Un giorno, questo dirigente è venuto in struttura e mi ha convocato nella stanzetta degli operatori. Lì ha cominciato a dirmene di tutti i colori, urlando, riguardo a una faccenda di lavoro, che ora proprio non ricordo. Quello che ricordo è che la mia soddisfazione era stata ribattere con estrema calma e senza scompormi alle sue sfuriate. Che bella soddisfazione! Me n’ero uscito dalla stanzetta tutto fiero del mio contegno, credendo di avergli fatto capire che i suoi modi autoritari e arroganti a me non facevano né caldo né freddo. Che poteva urlare quanto voleva, ma che non mi toccava. Risultare impassibile era stato il mio desiderio di riconoscimento.

Ma il suo? Il suo l’ho capito uscendo dalla stanzetta. Perché sono andato in cucina e la cuoca, personaggio speciale nella vita di quella comunità, una vera e propria protagonista, mi ha fatto cadere dal pero della mia fierezza. Mi ha guardando complice e con un sorriso stirato mi ha detto: “Che lavata di capo ti ha dato, eh!?”. E sì, proprio una lavata di capo, perché questo era stato il suo desiderio di riconoscimento nella sgridata: farsi sentire fuori, da altre orecchie, per essere riconosciuto come capo.

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